giovedì 11 agosto 2011

La Legge Levi sul prezzo dei libri è incostituzionale?

Nei giorni scorsi si è parlato tantissimo della Legge Levi che dall'1 settembre vieterà gli sconti sui libri superiori al 15% (clicca qua per leggere il testo della legge).

Mi chiedo se la legge possa essere dichiarata incostituzionale per violazione dell'art. 41 della Costituzione che recita:
"L'iniziativa economica privata è libera.
Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.
"

In Italia l'iniziativa economica, garantita dal primo comma dell'art. 41 della Costituzione, non è completamente libera: può essere vietata (secondo comma) oppure può essere indirizzata e coordinata (terzo comma).
Non è detto che una legge che regolamenta il prezzo di un determinato bene (in questo caso il libro) sia per forza di cose incostituzionale. La legge potrebbe essere stata promulgata per raggiungere dei fini sociali oppure per proteggere l'utilità sociale, la sicurezza, la libertà e la dignità umana. Inoltre il legislatore potrebbe avere deciso di limitare la libertà di iniziativa economica per tutelare altri beni costituzionali riconosciuti da altri articoli della Costituzione.

Nel caso della Legge Levi sembra che vangano chiamati in causa sia il secondo che il terzo comma dell'art. 41 della Costituzione:
- nell'articolo 2, comma 2 della Legge Levi c'è scritto che "È consentita la vendita dei libri ai consumatori finali (...) con uno sconto fino ad una percentuale massima del 15 per cento". Argomentando a contrario si ottiene un divieto: è vietato fare sconti superiori al 15%. L'ipotesi del divieto è contemplata dall'articolo 41, comma 2 della Costituzione, secondo il quale l'iniziativa economica "Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale".
- nell'articolo 1, comma 2 della Legge Levi si legge che la legge "mira a contribuire allo sviluppo del settore librario, al sostegno della creatività letteraria, alla promozione del libro e della lettura, alla diffusione della cultura, alla tutela del pluralismo dell’informazione." In questo comma il legislatore esprime in modo esplicito le finalità perseguite con la legge: programmare l'attività economica privata in modo che venga indirizzata a fini sociali (in ossequio all'articolo 41, comma 2 della Costituzione).



Trovo poco convincente l'articolo 1, comma 2 della Legge Levi.
Di solito nel campo dell'interpretazione giuridica la volontà del legislatore non è indispensabile. Può essere chiamata in causa se l'interprete la ritiene importante per la comprensione di una norma. Ma può anche non esserlo: non è detto che ogni volta che si interpreta una legge si debba essere fedeli alla volontà del legislatore. Può accadere che la legge debba essere applicata a una situazione completamente nuova che il legislatore non aveva potuto prendere in considerazione quando ha scritto la legge. Oppure può succedere che i presupposti che hanno spinto il legislatore a scrivere la legge non esistano più: i presupposti non ci sono più ma la legge continua a rimanere in vigore indipendentemente dal motivo che aveva spinto il legislatore a promulgarla.
Nella Legge Levi la rilevanza data alle motivazioni del legislatore è eccessiva perché condiziona troppo le scelte dell'interprete e compromette la "malleabilità" della legge. Non è detto che la Legge Levi sarà toccata dai problemi di cui ho parlato sopra (nuove situazioni di fatto non prese in considerazione dal legislatore e così via) però, in generale, si tratta di un pessimo modo di scrivere una legge.

Ho il sospetto che il legislatore, scrivendo l'art. 1 della Legge Levi, abbia voluto "mettere le mani avanti": consapevole che da più parti sarebbe stata invocata l'incostituzionalità per violazione dell'art. 41, comma 1 della Costituzione, ha utilizzato la sua autorità per mettere in evidenza una presunta finalità sociale perseguita dalla legge.

Secondo me l'art. 1 della Legge Levi non dovrebbe condizionare la Corte Costituzionale in un eventuale giudizio di legittimità costituzionale della legge sul prezzo dei libri. Se fosse obbligatorio credere alle motivazioni espresse dal legislatore in ogni legge, allora il legislatore potrebbe approfittarne per sbandierare motivazioni false che nascondano le sue vere intenzioni.

Per esempio nel caso della Legge Levi il legislatore potrebbe avere inventato i fini sociali descritti nell'art. 1 per mascherare l'intenzione di "fare fuori" Amazon in favore della distribuzione tradizionale (io penso che sia questo il vero scopo della legge).
Cosa ci azzecca la protezione degli interessi dei distributori tradizionali con il "sostegno della creatività letteraria, la promozione del libro e della lettura e la diffusione della cultura"?

Naturalmente è impossibile prevedere se la Legge Levi sarebbe dichiarata incostituzionale in un eventuale giudizio di legittimità costituzionale.
Il giudizio dipenderebbe dall'opinione soggettiva dei giudici: quali finalità, secondo loro, sarebbero perseguite dalla Legge Levi?

C'è un secondo aspetto.
Sopra ho preso in considerazione l'ipotesi che la Legge Levi possa essere incostituzionale perché, mancando totalmente le finalità sociali, violerebbe in modo diretto l'art. 41, primo comma della Costituzione.

Ipotizziamo che la legge persegua effettivamente delle finalità sociali. In questo caso la Corte Costituzionale dovrebbe fare un bilanciamento degli interessi.
Il legislatore ha scritto una legge che tocca due interessi costituzionalmente garantiti: la libertà dell'iniziativa economica e le finalità sociali. Tutelando un interesse (le finalità sociali) finisce inevitabilmente per sacrificare un altro interesse (la libertà dell'iniziativa economica).
In questi casi, operando il bilanciamento degli interessi, la Corte Costituzionale valuta se uno dei due interessi costituzionalmente garantiti è stato compresso troppo.

Nel caso della Legge Levi non credo che si giungerebbe a un giudizio di illegittimità costituzionale. Probabilmente la legge sarebbe incostituzionale se vietasse gli sconti tout court (limitando tantissimo la libertà economica). Invece la Legge Levi consente ai venditori di libri di fare sconti fino al 15%, concedendo così un margine di libera iniziativa.

4 commenti:

  1. non solo, a me pare in palese contrasto con le norme sul libero mercato dell'UE.
    ma credo ci sia un'escamotage: la legge vale ovviamente solo in italia, se invece che spedirmi i libri amazon.it da Milano, me li spediscono da un altro Stato, mica possono estendere la legge italiana a tutti gli Stati del mondo.

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  2. Amazon ha riferito, che pur avendo sede in lussemburgo, sarà costretta ad applicare la legge non in Italia, ma sui libri italiani, propio il presupposto della legge, ma al contrrio ('_')

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  3. @Linea Gotica: il tuo intervento "a me pare in palese contrasto con le norme sul libero mercato dell'UE" andrebbe rivisto alla luce del fatto che in Germania da anni non è concesso alcuno sconto, in Francia da oltre 30 anni il tetto massimo è al 5%.
    Forse anche loro sono fuori dall'Europa e dai suoi dettami? E se lo fossero, lo sarebbero anche più dell'Italia, allora.....

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    1. Nulla esclude, infatti, che anche Germania e Francia possano legiferare in contrasto con i principi dell'UE. Alla luce di questa considerazione anche Germania e Francia - al pari dell'Italia - avrebbero in materia di sconti sui libri una normativa "in palese contrasto con le norme sul libero mercato dell'UE".

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